RSA e anziani: un nuovo modello di cura

In attesa del documento conclusivo che la “Commissione Paglia” consegnerà al nuovo ministro della Salute, ecco il commento di alcune fra le principali realtà impegnate nell’assistenza agli anziani al «nuovo modello di cura e di assistenza» tratteggiato dalla Pontificia Accademia per la Vita

Un documento «forte e autorevole», «assolutamente condivisibile nei principi», accolto con «gratitudine» da chi è ogni giorno in prima fila nell’assistenza delle persone anziane. Ma anche con la voglia di marcare qualche distinguo e la preoccupazione per la pervasiva narrazione univoca delle RSA come capro espiatorio perfetto di quel che è accaduto la scorsa primavera, quando la prima terribile ondata del Covid ha colto tutti impreparati. Alla ricerca di quell’equilibrio che lo stesso documento della Pontificia Accademia per la Vita indica come obiettivo, senza «liquidare la questione della cura degli anziani con la ricerca di capri espiatori, di singoli colpevoli» e, di contro, senza che «si alzi un coro in difesa degli ottimi risultati di chi ha evitato il contagio nelle case di cura».

In attesa del documento conclusivo dei lavori che la “Commissione Paglia” consegnerà al nuovo ministro della Salute, abbiamo chiesto ad alcune fra le principali realtà impegnate nel nostro Paese nell’assistenza agli anziani una reazione al documento della Pontificia Accademia per la Vita, dal titolo “La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia”.

Don Marco Bove, presidente della Fondazione Sacra Famiglia
Don Marco Bove, presidente della Fondazione Sacra Famiglia, divide il documento in due parti: come se avesse idealmente una pars destruens e una pars costruens. «Mi ritrovo moltissimo nella pars costruens, propositiva, dove si delinea questa nuova visione di assistenza e si tratteggia la proposta di un modello che spero influenzerà quello che arriverà dalla “commissione Paglia”. È una via non solo condivisibile, ma necessaria! Benché questa personalizzazione della cura dentro un continuumassistenziale, non è tanto diverso da ciò che noi ma anche tanti altri facciamo da anni, pur chiamandolo con un linguaggio diverso: una filiera di servizi di presa in carico degli anziani. Quindi è da fare, sì, ma insieme si sta già facendo, riconosciamo anche questo dato di fatto». Su altri punti invece don Marco trova nel documento «uno sguardo di fondo che dà grandi pennellate un po’ impressionisitiche». È vero che c’è la cultura dello scarto «ma non c’è solo quella, noi vediamo ogni giorno come l’anziano per tante famiglie ma anche per tanti operatori e professionisti è un valore». Don Bove va a rileggere i passaggi in cui si afferma che secondo i dati statistici comparati «la “famiglia” a parità di condizioni, ha protetto molto di più gli anziani» e si chiede: «Ma sappiamo che caratteristiche ha la popolazione presente oggi nelle Rsa? Persone estremamente fragili, con comorbilità, perché finché basta la presa in carico a domicilio nessuno va più in Rsa. Non sono persone solo anziane ma con patologie che rendono impossibile la permanenza a domicilio. Se non si tiene conto di questo dato di realtà, è ideologico dire che la casa è il posto migliore per tutti. È vero per chi sta bene, ma altrimenti a casa la persona non solo non ci può stare ma ci sta male», sottolinea don Marco. «Dire quindi che l’istituzionalizzazione non ha garantito migliori livelli di assistenza, perché ha avuto un tasso di mortalità alto non è del tutto corretto. Di converso anche l’affermazione che la casa ha protetto di più è tutta da dimostrare. Nelle case è impossibile sapere quanti anziani sono morti di Covid nella prima ondata, banalmente perché nessuno poteva fare un tampone»... (continua)


Fonte: vita.it 

Condividi